Pop italiano, ancora tu. Non ce la faccio più, in Francia, la radio passa sempre la Myss Keta, non c’è una prima serata in TV senza un pezzo dei Coma Cose, non c’è una pista da ballo senza un brano disco di Bruno Bellissimo. In poche parole, l’Italia occupa troppo spazio sulla mappatura musicale : basta. Ed ecco Nicolò Carnesi… Ma chi è ? Un cantautore-interprete, alto raga occhialuto con gli occhi da labrador malinconico, col ciuffo di capelli da far credere che il parrucchiere ha traslocato alla chetichella per finire dietro le sbarre. Nicolò ha appena uscito il suo quarto album, Ho bisogno di dirti domani. Potrebbe essere il suo migliore. Ma mi ripeterei affermando una cosa del genere visto che il precedente, Bellissima Noia, lo era già, il suo best of, comunque è strano perche era composto soltanto da brani inediti – bisogna riascoltare Lo Scherzo Infinito con i voli pindarici per non riprendersi dal suo genio. E il disco prima di questo, Ho una galassia nell’armadio, un piacere senza colpevolezza amato da chi ha avuto la buona idea (o la semplice opportunità) di ascoltarlo. L’età modifica, l’età bonifica. Nel gergo, ma non saprei dire quale gergo, si direbbe di lui che è un artista solido, un valore sicuro, un vero compositore impregnato d’arte. Fuori moda. Un’ombra che brilla grazie alla propria discrezione, un cantante… silenzioso. Nicolò, orso asociale sui social ma più caloroso nella vita di qualunque fake sorriso stampato su carta patinata. Questo ragazzo a chi piace Dylan, Bon Iver, i Flaming Lips e la fisica quantistica non ha nulla a che vedere con un piccolo cantante pseudo-sentimentale e backstage scollaciato, al contrario di certi pagliacci che ci sono in Francia ; non cerca nemmeno a cavalcare l’onda fashion, quando compone, non è sicuro che sappia fuori che tempo fà.
Ho bisogno di dirti domani è stato concepito come un disco sul tempo, no quello che fà ma quello che passa. Un tema sfruttatissimo certo ma che puo essere capito anche a da chi non sa leggere tra le righe melodiche della lingua di Dante o di Dente (un altro cantante italiano contemporaneo). Il tempo, questa ossessione quando ti accorgi che la vita puo essere più breve di un buon disco. Questa cosa astratta che guardi con un altro angolo quando ti rendi conto tardi che muori di giovinezza. A trenta-due anni (una precisione non superflua tipica dei giornali italiani), Nicolò parla di un presente che non esiste, almeno come canzone visto che il brano Il Presente è la parte strumentale che apre il disco per lasciarli il tempo di schiarirsi la gola ed avere la voce cristallina sulla title-track, aiutata da qualche effetti computer. La voce spalmata (si si) d’autotune, Nicolò si rivolge ad un passato che non smette di esistere come un fantasma (Il Passato) ; e ad un futuro che, lui, esiste già (Il Futuro), come la promessa di un presente fantasticato. E infatti, credo sia la vera tematica di questo album : la fantasia.
Turisti d’appartamento : come rompere la routine progettandosi l’infinitezza dei possibili contenuta in qualche metri quadrati ? « Il frigorifero sarà il Polo Nord/e la cucina un ristorante stellato/il letto un mare alle Maldive/il lampadario il cielo stellato nel deserto del Cile ». Fantasia ancora con Sportiva, metafora sulla cristallizazione : magari questa ragazza che cammina troppo veloce, non è perché vuole fuggire da una storia d’amore ma perché si allena ad una grande gara. Nel brano Amore Capitale – uno dei pezzi grossi, pieno di enfasi e di bellezza – Nicolò canta ad alta voce quasi come se volesse convincere se stesso : « Forse è meglio cosi/siamo troppo simili ». E questa frase conclude (nel pezzo Carta da pirati) come un aforisma : « Dormendo di giorno per sognare la notte ». Ho bisogno di dirti domani, ci siamo. Come si fa per andare al mare sé sei a Milano. E per sentire il bianco della neve quando sei a Palermo ? Il tempo è una geografia mentale.
E Ho bisogno di dirti domani, un concept album. In Italia, son forti, da Edoardo Bennato (con Burattino senza fili o Sono Solo Canzonette) a quasi tutta la discografià di Luca Carboni (un dei suoi pezzi s’intitola Segni del tempo, hum hum), tutti capolavari con un filo che guida (più o meno sobrio) faccendo in modo che un disco abbia un senso. Un inizio, un mezzo, una fine. Un passato, un presente, un futuro. In fondo, l’unità, in Italia, è forse una storia di Storia.
Comunque super, la scena « inditaliana » spacca tutto – in Italia. Ma c’è qualcosa che non va oppure sono io che cerco la contraddizione : non sono sempre i migliori che stanno in prima fila.
Pero boh è cosi e si sà : quelli più grandi (/alti) si trovano sempre dietro sulla fotografia di classe. Ma perché il pubblico indie italiano preferisce i brutti Pinguini Tattici Nucleari ai graziosi Canarie (stessa casa discografica di Nicolò, Porto Records) ? Bisogna andare a vedere più in là del proprio naso, cazzo, e per quanto riguarda Nicolò, più in là dello stivale perché viene dalla Sicilia, di Villafrati, si si, un paesino molto simpatico, con i bar all’aperto dove puoi incontrarlo scrivendo la fine di una strofa su una tovaglia di carta. Con un gin sbiadito al limone, è li anche dove si mette a cantare in modo acustico quando la luce del cielo illumina solo i bicchieri svuotati, finché il giorno annunci la chiusura. Ecco. E li che questa estate si scaldava con gli applausi, provava le nuove canzoni per vedere se trovavano un qualunque eco, forse attraverso i leggeri headbangings che assomigliano a delle approvazioni. Ora l’estate è finita ed il disco è uscito. Ha già delle arie di classic anche se solo il tempo – il miglior rock critic al mondo – potra dirlo. Ora, Nicolò, anch’io ho bisogno di dirti domani. Si, domani, vieni a suonare in Francia, compare. Scherzavo nell’intro.